Realizzata in collaborazione con il Parco Archeologico dell’Appia Antica e il Ministero dei Beni Culturali per l’Anno Europeo del Patrimonio Culturale, Ailanto<3 è una mostra (aperta fino al 22 luglio) con la quale gli artisti Stefano Arienti, Cuoghi Corsello, Dado e Rusty, coordinati dal curatore Fulvio Chimento, hanno seminato le loro opere tra i resti del complesso archeologico della villa dei Quintili: l’ailanto rosso su telo antipolvere di Arienti all’interno di una cisterna, il mosaico di Rusty realizzato con i tappi delle bombolette spray nelle terme, vicino ai mosaici antichi; le installazioni e le sculture di Cuoghi Corsello e Dado disseminate tra le rovine e lungo i percorsi di raccordo.
Si parte sempre dalla collisione tra il carattere transitorio, precario del contemporaneo e la nota di eternità, seppure soggetta a nuove scoperte e integrazioni, conquistata dall’archeologia; una collisione che, decontestualizzando, con lo stesso shock indotto dalle trappole, dovrebbe riuscire a rendere in qualche modo rivivibile il passato e la storia. Messe a contatto con i prodotti della creatività contemporanea, le rovine e le opere del passato rieditano l’affaccendarsi operoso delle persone vere che le crearono, meglio che nei racconti pedanti di una guida o tra le righe di interi trattati.
In grado di rilasciare a scaglioni 300.000 semi, per le sue caratteristiche di adattamento estremo, l’ailanto è una delle piante non autoctone più infestanti e difficili da eradicare al mondo, vero terrore per contadini e giardinieri, un problema negli ultimi decenni per le periferie trascurate, anche a Roma. Qui – col ribaltamento tipico di un gioco – diventa metafora positiva dell’arte estranea, quella che non c’entra, in grado di contaminare e attecchire dappertutto vivificando senza razionalità, come l’erba che prospera tra le crepe dell’asfalto cittadino.
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