Dopo la definitiva consacrazione internazionale al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid nel 2010/11, e al Tate Modern di Londra nel 2012, al Maxxi, – il tempio italiano dell’arte contemporanea, quella fatta e quella che si farà, – qualcuno si è convinto, senza timore di sbagliare, a celebrare Alighiero Boetti, esponendo il suo lavoro a Roma dopo il 1972. Ecco, cercare il motivo per la sua valorizzazione nella prospettiva di una mutazione genetica della sua arte al suo trasferimento in città, può apparire limitante per un artista che ha viaggiato, si è confrontato con il mondo e che il mondo ha capito. Il passaggio dall’arte povera torinese in bianco e nero al colore romano non travia affatto il suo procedimento originario, incentrato sulla cura dell’idea, del progetto, diremmo sulla programmazione in linguaggio macchina dell’opera, e contemporaneamente sulla assoluta svalutazione della sua realizzazione pratica. Proprio nella serie degli arazzi con le mappe e le frasi inquadrate, o nelle biro, il colore non proviene da Boetti ma è il portato emozionale del lungo lavoro di tessitura delle donne afghane, o della pazienze delle persone deputate a disegnare con la penna i tratti fittissimi. L’artista ne resta fuori come e quanto nell’essenziale arte povera dove era la materia, a volte grezza autoreferenziale incolore, a fare presenza. I titoli della mostra madrilena (Alighiero Boetti: estrategia de juego) e londinese (Alighiero Boetti: Game Plan), strategia, piano di gioco, fanno pensare più a chi le regole le crea che a chi partecipa al gioco; Alighiero e Boetti forse è grande nell’estremo tentativo di liberare l’artista dalla propria opera. Alighiero Boetti a Roma fino al 6 ottobre 2013. http://www.youtube.com/watch?v=kEiAwkY7XAI.
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