L’apertura straordinaria del Museo di Casal de’ Pazzi continua per tutto maggio 2014. Da anni in corso di musealizzazione, in una zona peraltro ricca di giacimenti preistorici, il sito offre l’opportunità di vedere dal vivo resti di animali – antenati prossimi di elefanti, ippopotami, rinoceronti, cavalli, lupi, iene, uccelli acquatici -, estinti o i cui discendenti vivono oggi a ben altre latitudini; ma anche manufatti in selce scheggiata e i frammenti del cranio di un ominide pre-neanderthaliano: una finestra straordinaria sull’ambiente laziale ed italico del Pleistocene. Il post potrebbe fermarsi a questo punto, forse con qualche aggiunta sull’eccezionalità e la quantità dei materiali rinvenuti, sul fatto che si tratta di uno dei pochi tentativi di musealizzare la paleontologia a Roma, un vero polo attrattivo per la periferia, di cui auspichiamo l’apertura definitiva. Ma l’interesse di un sito del genere scaturisce in buonaparte dalla prepotente attitudine dell’uomo ad avventurarsi nell’abisso del tempo. A partire dalla fine degli anni ’40 alcuni scienziati scoprono che la concentrazione in percentuale dei differenti isotopi dell’ossigeno contenuti nella calcite depositata sui fondali lacustri (ma anche nei gusci marini, nelle grotte, nei coralli e nel ghiaccio carotato) ricalca esattamente quella dell’acqua in cui essi si sono prodotti per precipitazione. Azzardano quindi formule matematiche che mettono in relazione queste concentrazioni con la temperatura che l’acqua aveva all’epoca della reazione.
Insomma, l’ossigeno si presenta in natura nella grandissima parte con l’atomo O16 e in parte infinitesima con quello O18 dotato di due neutroni eccedenti nel nucleo, quindi più pesante. Tra le molecole d’acqua solo il 2 per mille presenta il secondo: una quantità così insignificante da privare di ogni ragione la sua esistenza, ma corre voce che qualcuno ci stia insegnando la strada della creazione lasciando in giro gli scarti di lavorazione.
Ora, pensano gli scienziati e diciamo noi alla buona, è facile immaginare che l’acqua che contiene il primo tipo è più leggera ed evapora a temperature anche basse, andando più facilmente a rimanere intrappolata nei ghiacciai in avanzamento; al contrario quella che contiene il secondo ha probalità di volatizzarsi solo a temperature più alte.
Se ne può dedurre che nell’acqua si troverà maggiore quantità di O18 se il mondo intorno è più freddo e se i ghiacciai avanzano, minore se più caldo; questa differenza di quantità – essi asseriscono – continuerà a notarsi nel carbonato di calcio che da quell’acqua ha preso l’ossigeno servitogli per formarsi.
Gli studiosi inventano così la stratigrafia con gli isotopi dell’ossigeno estratto e gassificato dalla calcite, la mettono in pratica servendosi di una macchina chiamata spettrometro di massa e dicono di poter stabilire in questo modo, con un margine di errore accettabile per le scale di centinaia di migliaia di anni, il clima in cui si sono creati gli strati geologici che ospitano sedimenti e fossili. Nel 1981 durante i lavori di urbanizzione di Casal de’ Pazzi affiorano reperti sotto una spessa coltre di pietrisco e detriti, al livello degli strati di sedimento limaccioso.
Dopo aver fatto, tra le altre, la prova dell’ossigeno sui reperti e sui sedimenti, i paleontologi mandati dalla Sopraintendenza stabiliscono che essi risalgono a circa 200.000 anni prima, un periodo nel quale appunto il clima di Roma e dell’Europa, nel suo gioco alternato di glaciazioni ed interglaciazioni (sembra siano avvenute cinquanta oscillazioni negli ultimi due milioni e mezzo di anni), era caldo umido, simile a quello africano di oggi e più adatto alle forme animali emerse dagli scavi.
Fanno allora la loro ricostruzione. L’antico Aniene, che ora scorre poco più in là, nel giro di qualche millenio ha incontrato e trasportato a valle le ossa e gli oggetti appartenuti ad animali e uomini vissuti sulle alture. Imboccato, proprio nella zona del giacimento ritrovato, uno spiazzo a bassa pendenza, la sua corrente diventa meno impetuosa e quei resti possono depositarsi sul fondo insieme al fango e ai detriti, iniziando difatto il processo di conservazione fossile. Intanto il fiume si sposta a un centinaio di metri e l’alveo scavato, rimasto secco, incomincia a colmarsi di sassi e pietrame fino a far dimenticare la sua antica funzione.
Il caso ha voluto che accanto al carcere di Rebibbia, nei pressi di Ponte Mammolo, il primo rifugio di Pasolini a Roma, le ruspe premonitrici di strade e caseggiati siano state più delicate nel presevare gli antichi depositi, quando in altri luoghi simili della città si sono rese responsabili della loro scomparsa definitiva. http://www.municipioromacinque.it/index.php/3436-apertura-straordinaria-del-museo-pleistocenico-di-casal-de-pazzi
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