Con imponente copertura mediatica (il New York Times vi dedica un lungo articolo), il 17 giugno ha aperto al pubblico la Casa Museo di Giacomo Balla al numero 39b di via Oslavia, sul confine tra i quartieri Prati e Vittoria. Il fantomatico appartamento abitato dall’artista dal ’29 fino alla morte, e dalle figlie Luce ed Elica fino agli inizi degli anni ’90, reificazione perfetta e profetica dell’arte totale da lui immaginata dai tempi del Futurismo, un’arte mai relegata in un museo, plasmatrice di ogni aspetto della vita quotidiana, dall’arredamento, al mobilio, al vestiario, fino alle piastrelle del bagno e alle suppellettili in cucina.
Si conclude così il lungo dialogo con gli eredi che aveva raggiunto la prima tappa con la dichiarazione di patrimonio protetto nel 2004, quando la Banca d’Italia finanziò le prime ricerche e la riattivazione dell’utenza elettrica, e arriva a compimento con l’intervento del Maxxi nel 2019, in qualità di gestore del progetto di recupero, valorizzazione e apertura al pubblico. E il Maxxi affianca l’apertura di Casa Balla con una mostra (fino al 21 novembre 2021) nei propri spazi, dedicata proprio agli aspetti e alla produzione del Maestro più legata all’arte applicata, intervallata dagli interventi di alcuni artisti contemporanei ispirati dal sacerdote del Futurismo. Tra essi gli ironici filmmaker di architettura Ila Bêka & Louise Lemoine, i primi ad entrare con una cinepresa nelle stanze di Prati e a dare con il film The Cave of the Past Future il senso e lo stupore della nuova scoperta.
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