L’Ara Pacis, un monumento inaccettabile e quindi da sempre oggetto di forzature. Mai accettato così come rinvenuto in un posto diverso e in frammenti dispersi, probabilmente mai esistito come ricostruito in fretta e furia per adattarsi alle esigenze propagandistiche del fascismo. Già in origine montaggio discutibile tra stili scultorei diversi, inseriti in una composizione architettonica sbagliata per scelta di spazi ed equilibrio, come pensava il buon Bianchi Bandinelli. Iniziativa dell’entourage di Augusto, alacre ed interessato a glorificare l’imperatore per la pacificazione delle tumultuose tribù stanziate nella penisola iberica e in Gallia, sulle Alpi e in Rezia come in tutta l’Europa occidentale; imprese tra l’altro il cui merito, guadagnato in campagne militari decennali, più che a lui è da attribuire ai suoi generali, tra i quali figliastri. Una commessa insomma gravida di propaganda ed incolta, voluta da una classe dirigente che intuiva la bellezza ereditata dalla Grecia classica e dal mondo ellenistico senza in realtà comprenderla fino in fondo e che per questo si serviva di essa in maniera sommaria. Sepolta nei secoli dal limo delle inondazioni del Tevere, l’Ara incominciò ad emergere a pezzi dalle fondamenta di un palazzo nobiliare (in sequenza temporale Peretti, Fiano, Almagià) a partire dalla prima metà del ‘500, lontano centinaia di metri dalla sede attuale, lungo il corso della via Lata, prosecuzione nel Campo Marzio della Flaminia. Estratti frammenti a più riprese, il suo recupero completo mette in pericolo la stabilità dell’edificio soprastante, fino a quando, con l’affinamento delle tecniche di scavo, tra il 1937 e il 1938 viene prelevata completamente e ricomposta per ordine di Mussolini in riva al Tevere, che la fa rientrare, protetta da una teca-padiglione, questa volta nel suo programma di propaganda.
Il padiglione, nato provvisorio, alla pari del monumento incomincia a sgretolarsi fino a che negli anni ’90 si decide un ampio programma di restauro e la costruzione della contestatissima nuova teca, progetto dell’archistar Richard Meier. Non basta. allo sforzo secolare di reinvenzione conservativa del monumento appartengono le spettacolari proiezioni colorate sui rilievi scultorei che oggi cercano di rievocare il tono che questi dovevano possedere in origine; ancora in replica a settembre. Viene da commuoversi come il folle criminale Dennis Hopper in Velluto Blu mentre ascolta Roy Orbison che canta
A candy-colored clown they call the sandman
Tiptoes to my room every night
Just to sprinkle stardust and to whisper:
“Go to sleep, everything is all right”
I close my eyes
Then I drift away
Into the magic night
I softly sway
Oh smile and pray
Like dreamers do
Then I fall asleep
To dream my dreams of you
http://www.arapacis.it/mostre_ed_eventi/eventi/i_colori_dell_ara3
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