Fino al 4 settembre presso Palazzo Cipolla, con una mostra di dipinti originali, stampe, sculture e oggetti vari, la Fondazione “Terzo Pilastro” porta a Roma l’inafferabile Banksy. Uno dei fondatori della Street art, se non “il” fondatore, si espone con il titolo impegnativo Guerra, Capitalismo & Libertà, facendo credere che sia stato l’acido corrosivo della suo sarcasmo contro i mali del Sistema, sin dall’inizio della sua parabola tra il ’98 e il 2000, a sbalzarlo fuori dallo stato comatoso dell’arte di fine novecento astrusa e accademica, rinnovando una certa influenza dell’artista sul mondo e sulla società.
Forse però è andato oltre questa battaglia, peraltro non sconosciuta all’arte prima di lui. Ha intravisto nella pratica sovversiva del graffitismo la leva per minare una peste peggiore di guerra e capitalismo, impalcatura dell’arte come di ogni altra attività umana: il racconto, il dare la propria versione, l’imporsi del sé o del noi parziale ed interessato, forse all’origine di tutti i mali, compresi conflitti e denaro. Lo ha fatto portando il credo writer del “imbratta e scappa” alla sublimazione di una performance, trasferendolo sull’anonimato difeso allo stremo (non si sa se esista, se sia un individuo o un collettivo), cercando così di eliminare uno degli elementi portanti della narrazione, l’Io onnipotente, nella fattispecie quello dell’artista. Persino nel suo documentario su di sé (Exit Through the Gift Shop, 2010) racconta la storia di un altro.
Poi però ha organizzato i vernissage con i vip di Hollywood, ha portato la Street art sugli altari delle aste e l’ha venduta a milioni di dollari. Forse distruggere il sé è un altro modo per renderlo eterno. http://www.warcapitalismandliberty.org/
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