Felice Peretti, Papa Sisto V (1585-1890), marchigiano di Grottammare, durante il suo breve pontificato fu un ribollire di idee. Contribuì in maniera determinante al volto rinascimentale di Roma che ancora oggi resiste, soprattutto negli assi viari che si dipartono da Santa Maria Maggiore. Ma tra le tante, s’inventò cose curiose quali nominare il quindicenne Alessandro Damasceni e il di lui fratello Michele di otto anni, figli della nipote, rispettivamente cardinale con responsabilità di governo dello Stato e capitano generale della guardia pontificia, nonché governatore di Borgo; e altre ancora, come emanare una bolla contro l’astrologia e la superstizione, inasprire le pene contro giochi, bestemmia, immoralità e scommesse, decretare la pena di morte per adulteri, separazioni immotivate tra coniugi, incesto, aborto, lenocinio e calunniatori, senza mai però impedire le feste, una valvola di sfogo per il popolo.
Contemporaneamente non mancò di occuparsi di questioni più stringenti tra le quali l’acquedotto, detto “Felice” in suo onore, già nel programma del suo predecessore Gregorio XIII, e completato all’inizio del suo pontificato dal fidato architetto Domenico Fontana. La prima opera pubblica per portare l’acqua nel cuore di Roma, dall’epoca degli acquedotti antichi distrutti dai barbari, fu costruita utilizzando le arcate e i materiali superstiti del Marcio e del Claudio, ma captando le sorgenti un tempo utilizzate dall’acquedotto Alessandrino, molto più vicine a Roma (località Pantano Borghese, a tre chilometri dall’attuale Colonna) rispetto a quelle degli altri due.
Da buon francescano, Papa Sisto pensava non si potesse lesinare l’acqua ai terreni tra Viminale, Quirinale ed Esquilino, interessati da una forte espansione dell’edilizia aristocratica, e lasciare a secco la sua stessa villa Montalto, un gigante da sei chilometri di perimetro, costruita quando era ancora cardinale; ora non più esistente, questa modesta proprietà all’epoca occupava la medesima area della attuale Stazione Termini e dintorni, i suoi confini correvano lungo le direttrici oggi grosso modo occupate da via del Viminale, via De Nicola, Via Marsala fino a Porta San Lorenzo, e via Depretis. Con rigogliosi giardini, dense alberature e un tripudio di più di trenta fontane affamate d’acqua, fu una fortuna che anche la plebe più a valle ne potesse approfittare.
A papa Sisto dobbiamo dunque la Porta Furba (probabilmente da Formae, denominazione medioevale degli acquedotti), mostra monumentale del fornice dell’acquedotto Felice che scavalca la Tuscolana, pensata sull’esempio delle antiche Porta Maggiore e Porta Tiburtina; come pure dobbiamo a lui la fontana nei pressi, ricostruita nel ‘700 per papa Clemente XII forse da Luigi Vanvitelli.