Termina il 4 febbraio la monografica dedicata a Bernini presso la Galleria Borghese. Celebrati così i vent’anni dalla riapertura della Galleria, nel 1998 inaugurata proprio dalla mostra Bernini Scultore: la nascita del barocco in Casa Borghese, della quale l’attuale è un ampio prolungamento. Un séguito originato, complice collaborazioni e prestiti internazionali, dall’intento di inquadrare il grande scultore nella cornice di una multiforme produzione che nell’intero arco della sua vita lo vede anche pittore, architetto, restauratore di statue antiche, disegnatore di bozzetti e plastici preparatori, figlio dell’artista altrettanto prestigioso Pietro, promotore coordinatore di artisti affiliati e sodale di potenti. Tutto a conti fatti per tornare a focalizzare l’attenzione sui gruppi scultorei commissionati dal cardinale Scipione, nati per le sale della residenza Borghese, ed in essa stabilmente presenti come parte della collezione permanente.
Scipione Borghese, uomo mediocre “del sapere et la vita molto dedita a’ piaceri e passatempi” (a detta dell’ambasciatore veneziano a Roma), praticamente un ignorante condannato dalla condizione e dal censo ad una megalomane pulsione verso l’apparire – si racconta non esitasse a commissionare furti e truffe per circondarsi di opere d’arte antiche e contemporanee -, aveva colto nel giovane Bernini la stessa sua propria predisposizione al teatro, al trionfo sulla scena. Il gruppo Enea Anchise e Ascanio, il Ratto di Proserpina, Apollo e Dafne e il David, realizzati in successione dal 1619 al 1625, non sono solo arditissimi e innovativi capolavori di scultura, ma anche opulente, sfavillanti messe in scena: la studiata collocazione delle statue (almeno quella originale, diversa da quella attuale) rispetto alla luce delle finestre, il loro rapporto con l’ingresso riservato agli ospiti che con il loro incedere avrebbero contribuito al moto dell’azione rappresentata, il dialogo con i rimandi pittorici alle pareti, la cornice architettonica, sono tutti elementi che rivestono la medesima importanza, mettiamo, del celebrato, impressionante, sinestetico virtuosismo delle carni marmoree. Questo illusionismo che chiama lo spettatore in causa, lo costringe a girare più volte attorno alle opere, a toccarle virtualmente, a scoprirsi a sua volta improvvisamente toccato da “vera” emozione, paradossalmente nel massimo di finzione, nell’artificio assurto ad unico valore, ebbene questa illusione è teatro, ed è barocco.
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