A partire dal 12 marzo e fino al 30 maggio 2015 l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma, ente voluto da un ex primo ministro giapponese negli anni sessanta allo scopo cementare il rapporto di amicizia con l’Italia, apre gratuitamente il suo giardino alle visite guidate (orari e prenotazioni su http://www.jfroma.it/index.php?option=com_content&view=article&id=42%3Aorarigiardino&catid=18%3Agiardino&Itemid=50&lang=it). Il giardino in Giappone è la risultanza templare del sincretismo tra shintoismo autoctono e Ying e Yang, Confucio, Tao, Buddismo e geomanzia, tutti influssi religiosi e culturali già presenti nell’arcipelago nel primo millennio d. C., giunti dal più evoluto continente cinese attraverso la Corea. Un tempio insomma in cui la natura, avamposto reale e non simbolico del soffio divino che pervade l’universo, viene riprodotta in scala nei suoi elementi essenziali, foresta, montagna e acqua, con i criteri propri della bellezza sensuale.
Mentre per secoli la cultura cristiana occidentale ha voluto fare a meno della natura, considerandola un ostacolo al contatto con Dio, – atteggiamento di cui noi abbiamo ereditato la tendenza allo sfruttamento senza contegno delle sue risorse – per le culture orientali uno spazio ordinato in cui collocare massi, alberi, arbusti, ghiaia, ruscelli e laghetti, allo scopo di rappresentare secondo canoni estetici un paesaggio, è il mezzo più diretto per mettersi in contatto con la divinità, arrivare all’entità che si desidera vicina, straripante dal mondo reale. Strumento più immediato di quanto lo siano croce, pane e vino, l’apice della de-astrazione che Cristianesimo ha potuto escogitare come suggerimenti fisici di morte, resurrezione, sangue e carne, per quanto questi a loro volta siano elementi più concreti del puro concetto di divino, pura parola, che troviamo nell’Ebraismo e nell’Islam.[Continua]