Non ce l’abbiamo fatta, con tutta la buona volontà. Colpevolmente in ritardo, siamo stati al Chiostro del Bramante negli ultimi giorni prima della chiusura della mostra antologica su Escher; la fila con più di un’ora di attesa del 22 febbraio ci ha impedito entrare, negandoci la possibilità di parlarne solo dopo averla vista, come sempre abbiamo fatto almeno per le eventi di lunga durata come le mostre. Ma Esher non è un artista che cerca lo shock, l’immagine nuova che lo spettatore percepisce tale, dirompente e senza spiegazioni. Si pensi a Francis Bacon. Escher, da disegnatore e illustratore, è uno dei pochi casi accettati dalla storia dell’arte che stuzzica in chi guarda la narcisistica impressione di dover solamente ragionare per capire, o quanto meno di avere la possibilità, poggiando solo sul proprio discernimento, di interpretare, di illustrare in termini esatti il mistero raffigurato, come fosse una sciarada, un rebus. In mostra o attaccato come poster in una stanza studentesca offre godimenti di qualità paragonabile.
Un giorno d’estate del 1922 Il signor Maurits Cornelis Escher giunge a Castrovalva. Alto, biondo e sudato, vede spuntare dal vicolo più ampio la processione del patrono San Michele. Resta fermo, distante come una divinità straniera. Un quarto d’ora dopo due carabinieri gli si fanno da presso apparentemente leggeri di ogni imbarazzo e lo invitano a seguirli senza replicare. In caserma, mentre furioso l’artista a stento rimane seduto, il maresciallo Bambini, di getto, non senza argomentazioni valide e ben oltre le sue letture, afferma che chi non può essere altrimenti identificato, allora di certo è un assassino mestatore. Sentitasi opporre una norma universalmente presente nei codici che un uomo in divisa non può calpestare, il militare replica che i tempi pare stiano cambiando e che forse per un uomo in divisa è più saggio osare, rischiando di commettere abuso. Qualcuno ha attentato alla vita del Re e da Roma si aspetta notizia di cambiamenti epocali.[Continua]