Per Roma quella del 2014 è la terza edizione del Open House Worldwide, un evento mondiale che interessa 25 città in quattro continenti e che mira a diffondere il verbo della qualità architettonica antica, moderna e contemporanea, aprendo le porte di palazzi storici, edifici pubblici, e persino dimore private eccellenti per concezione architettonica e vivibilità, a volte accompagnati dagli stessi architetti che le hanno progettate. E’ forse quindi l’unico evento di apertura al pubblico che porta le persone, oltre che nel centro storico delle metropoli, anche nelle periferie, a volte fucina di edifici coraggiosi e innovativi. Lungo via Tuscolana, in via Columella al Quadraro Vecchio, si potrà visitare, tra sabato 10 e domenica 11 maggio 2014, il cantiere della prima di casa di paglia urbana in Europa, progetto di Bag (Beyond Architecture Group), uno studio di architettura ecosostenibile dalle tecniche costruttive inusuali. A Via Caio Ateio Capitone, nei pressi del parco degli Aquedotti, l’architetto Massimo Valente apre un’appartamento privato in cui ha integrato in un unica esperienza visiva e abitativa interno ed esterno, spazi chiusi e giardino. In programma anche un giro per l’Ina case Tuscolano, uno dei maggiore interventi organici di edilizia popolare a Roma, costruito negli anni ’50 su progetto di Mario De Renzi e Saverio Muratori, e attraverso il distretto di street art del Quadraro. Per avere notizie certe sui più di 200 siti visitabili, modalità di accesso e orari si può cliccare su http://www.openhouseroma.org.[Continua]
Minimo comune Museo d'Orsay
Per ammirare i capolavori del Museo d’Orsay, ammesso si riesca ad uscire dal Louvre dopo esservi incautamente entrati, bisogna esattamente varcare la soglia del Museo d’Orsay a Parigi, un ex stazione vicino alla Senna. A Roma, fino all’8 giugno 2014, sono esposti alcuni quadri normalmente collocati in quel museo, e di essi si può fare un’esperienza solo indistinta tra le impressioni dettate dal puro transito nel termitaio interno al Vittoriano; Il monumento a Vittorio Emanuele II Equestre e al Milite Ignoto, alla pari di una piramide egizia sovradimensionato fuori, asfittico e claustrofobico dentro, immobile ed eterno come una cappella cimiteriale, è lontano anni luce dalla Gare d’Orsay, architettura aperta e vitale. Questa esperienza può essere personalissima, esiste solo per la sua durata, non ha nessun valore critico o estetico e si può condividere in percentuali insignificanti attraverso le parole. Per puro caso non cala su quei pochi, universalmente considerati capolavori. Oltre al transito questa esperienza ha come tema il bianco, la campitura distesa di colore bianco, terragna o smaltata, aggiunta al pallido vuoto della tela per significare non tanto la luce quanto la luminescenza che origina dal quadro.[Continua]
Street art al Quadraro
Nel 2010 per le strade polverose e tra bassi edifici del Quadraro Vecchio, su iniziativa dell’artista David “Diavù” Vecchiato, nasce il Museo di Urban Art di Roma (MURo), un progetto di street art che punta al recupero della periferia malata di degrado e al coinvolgimento della popolazione nelle scelta e nella gestione degli spazi, poggiando sul rivoluzionario assunto, proprio di tutta la street art, che più che demusealizzare le opere o i musei, ormai l’arte è pronta per nascere direttamente nelle strade e tra le persone. E questo non come concessione di un committente o di un artista ma come principio generativo che si può rinvenire nello spirito e del senso finale delle opere. Dopo due anni di rodaggio, negli ultimi tempi molti dei muri più scalcinati dell’ex borgata partigiana sono stati ricoperti dai dipinti di alcuni dei più ricercati artisti italiani e stranieri del movimento. Dagli Stati Uniti Jim Avignon, Gary Baseman, Ron English, Beau Stanton, poi il francese Zelda Bomba, il messicano Malo Farfan e naturalmente tanti italiani, come Nicola Alessandrini, AliCè (Alice Pasquini), Marco About Bevivino, Alberto Corradi, Massimo Giacon, Gio Pistone, Irene Rinaldi, Alessandro Sardella, Mr. Thoms e dal fondatore David “Diavù” Vecchiato.[Continua]
Doodle Google festeggia i 77 anni di Cinecittà
Il 28 aprile 1937 Mussolini impreziosiva via Tuscolana con l’inaugurazione degli studi cinematografici che sarebbero diventati, insieme a quelli di Hollywood, più importanti per il cinema mondiale, la fucina di capolavori e successi planetari. Ieri a settantasette anni esatti da quell’evento, Google dedica alla ricorrenza un Doodle, un logo alternativo che ricorda personaggi ed eventi importanti della storia, e lo fa ritraendo i teatri di posa e le scenografie dei film di maggior eco girati negli studi che hanno cambiato il nome a tutta la zona. Chi vive, lavora e passa tutti i giorni accanto a questo pezzo di storia italiana non può evitare di associarsi alla celebrazione. Ripassare la storia però non può voler dire selezionare tra i ricordi soltanto quanto di prestigioso, mitico e innovativo questo mondo di cartone, che a volte ha saputo essere più vero della realtà, ha saputo offrire. Telefoni bianchi, grandi kolossal americani, Fellini, il cinema di genere italiano visto in tutto il mondo. Va bene. Ma oggi bisogna anche esprimersi con termini quali gestione privatistica, speculazione, smantellamento, disprezzo per uomini e competenze, dipendenti in protesta perenne, incertezza sul futuro e mancanza da parte delle istituzioni pubbliche, detentrici ancora della proprietà del complesso, di un progetto che, valorizzando la sua prestigiosa tradizione, sappia dare a Cinecittà un futuro nel cinema e per il cinema.[Continua]
Festival della Complessità 2014
Dedalo ’97 (Associazione Scientifica, Culturale e di Promozione Sociale), Aiems (Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche) e Cep (Complexity Education Project), con l’aiuto di una rete di associazioni locali, organizzano in numerose città italiane gli eventi per il Festival della Complessità. Ed in questo caso il termine complessità contiene molti più riferimenti di quanti il suo uso comune possa suggerire, almeno tanti quanti la rendono una delle parole chiavi della scienza e della cultura del secolo passato e di quello che stiamo vivendo. Grazie alle incertezze che entrano prepotenti nella fisica e nella matematica del’900 e ai nuovi approcci metodologici in ambito sociologico psicologico e antropologico – in special modo a partire dalle intuizioni dell’antropologo inglese Gregory Bateson – la complessità è alla base di una nuova epistemologia, cioè di un nuovo modo di affrontare la conoscenza, al di là delle discipline e delle divisioni settoriali tra ambiti scientifici e in deroga alla tradizionale distinzione tra scienze umane e scienze naturali. Addirittura la complessità così intesa, cioè in quanto assunto teorico e termine operativo per fondare l’indagine conoscitiva dell’uomo sulla natura e sulla società, è essa stessa un sistema complesso di definizioni e controdefinizioni, a tal punto che la sua sola spiegazione ha già bisogno di una teoria della complessità.[Continua]