Partita la stagione autunnale e invernale del Kopó, il piccolissimo teatro da 50 poltroncine di via Vestricio Spurinna, l’unica sala in zona. La platea esigua, il palco dalle dimensioni di uno studiolo, l’atmosfera di contiguità che si stabilisce tra attori e spettatori e tra gli spettatori stessi, tutto questo esige, impone un modello e un’idea precisa di teatro.
Quando si sente addosso il fiato degli attori e degli altri spettatori e non ci si può dileguare nel buio della sala o al di qua di uno schermo, ammesso si riesca a non soccombere sotto la pressione fisica esercitata dal calore e dai pensieri altrui, allora si diventa parte dello spettacolo, ci si sente chiamati ad assumersene la responsabilità, a confessarsi correi di quanto avviene sul palco. Gli attori, in due o tre, molto spesso da soli, si rivolgono in maniera permanente agli spettatori, si può dire dialoghino con essi, ed esigono riscontri, consenso, partecipazione che, in un silenzioso battibecco, ciascuno tra essi singolarmente ha l’obbligo di accordare. Distrazione, sbadigli, sguardi che si abbassano, braccia che si muovono, ogni minimo gesto di uno qualsiasi dei presenti entra nel flusso emozionale quanto e come la parola del performer.
In questa trappola comunitaria e miracolosa, dalla quale si esce solo a fine dello spettacolo e solo dopo aver compiuto, a quel punto ineludibile, il rituale di avvicinarsi, conoscere e stringere personalmente la mano agli attori, la recitazione è sempre intima, monologante, sospesa tra confidenza e ironia paradossale; i temi sempre vicini, comuni, ispirati alle paure e nevrosi che tutti possiamo sperimentare: i ruoli nella società, il rapporto tra i sessi, le piccole grandi ossessioni quotidiane, il lavoro, i media e quant’altro, ma specialmente come tutto questo può entrare ancora oggi in un teatro fatto di sola parola. https://www.teatrokopo.it/spettacoli/prossimi-spettacoli.html[Continua]