Il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, a dieci anni dalla morte, dedica una restrospettiva ad un dei suoi ex allievi più originali, Fernando Di Leo. Una figura di cineasta, non solo regista ma anche sceneggiatore, che ha contribuito, coltivando i generi, a tenere vivo il cinema italiano negli anni ’60 e ’70, dopo l’esaurimento del neorealismo e della commedia. E c’è sempre da sorprendersi nel pensare come, in un’epoca non ancora globalizzata e senza internet, un figlio del sud, nato a San Ferdinando di Puglia, nella borbonica ed agricola provincia di Foggia, da una famiglia borghese nel senso più limitante, abbia saputo dare un taglio così internazionale alle sue immagini, sia riuscito a disegnare e scrivere, inventandolo di sana pianta, un profilo così personale del noir che gli americani avevano fatto al cinema; abbia costruito personaggi estremi eppure apparentemente realistici; abbia introdotto la violenza esplicita nella prospettiva dello spettacolo, tentando però di ritagliare con coraggio sprazzi di critica sociale e politica in mezzo alle stringenti necessità del cinema di genere.
Eppure, comunque la si giudichi, anche con occhi smaliziati di oggi, pensando alle sue sceneggiature per i western di Leone, Tessari, Fulci, e a film dalle introduzioni folgoranti come Il poliziotto è marcio, Milano Calibro 9, La Mala ordina, Il Boss, Brucia ragazzo brucia, Avere vent’anni, non si può negargli almeno una parte della dignità conquistata nelle sale cinematografiche, quando queste erano il tempio del cinema.
Dal 27 al 30 novembre, con una serata gratuita il 28 dedicata al documentario Fernando Di Leo. Un pugliese a Roma di Deborah Farina seguito da un dibattito alla presenza di Rita e Giuliana Di Leo, Aris Accornero, Sergio Ammirata, Renzo Arbore, Lino Banfi, Barbara Bouchet, Pier Paolo Capponi, Gianni Garko, Galliano Juso.
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