Alberto Giacometti dopo quarant’anni ritorna a Roma con bronzi, gessi e disegni, nel luogo meraviglioso in cui si chiude intera la parabola che congiunge l’arte classica, la sua incarnazione rinascimentale e il suo ribaltamento barocco. E lo stridore tra equilibrio e spudorato spettacolo che l’impianto ideologico della Galleria Borghese da secoli rappresenta e ricompone, si rinnova nel confronto con l’arte moderna che al solito cerca di rompere il giocattolo e rimescolandone i pezzi. Giacometti come altri grandi del ‘900 mette in gioco la sua tecnica puntando su due grandi obiettivi: rinunciare in maniera perentoria ad ogni pretesa universale concentrandosi sul quel poco che il soggetto riesce a scorgere nella realtà, la quale a sua volta e di forza ne esce deformata e personale; indagare i processi creativi per svelarli e farne il filo rosso della rappresentazione artistica. Non che queste intenzioni fossero completamente sconosciute all’arte precedente, ma negli autori moderni esse si offrono pienamente alla coscienza. Le figure filiformi e butterate dal tormento, ferme e in movimento, sono l’ultimo tentativo di autonomia figurativa prima che, soprattutto in questi ultimi decenni, complice anche il vecchio Duchamp, molto dello sforzo creativo degli artisti si trasferrisse nella ricerca compulsiva dell’effetto di straniamento, latente nel contrasto tra opera e contesto di fruizione, e l’arte, nelle sue correnti più in voga, divenisse quasi esclusivamente performance.
Solo che in Giacometti la mano proterva è così convinta di poter generare universi da spingersi a sottrarre materia fino ad un momento prima del nulla. http://poloromano.beniculturali.it/index.php?it/22/eventi/194/giacometti-la-scultura
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