Il Macro di via Nizza ricorda Giacinto Cerone, nato nel ’57 a Melfi, profondo sud simbolo della colonizzazione industriale del nord, e morto all’ospedale San Camillo di Roma nel 2004, dopo una vita non molto lunga da romano e da scultore. In mostra una serie di trenta dipinti su carta, un’espressione artistica quasi blasfema per un uomo che ha contorto nelle pose più precarie ceramica e gesso, a volte camuffandoli con vernici e cromature, ed in quel caso rendendone ancor più sorprendente l’equilibrio. In realtà anche per queste opere, – preparate prima con una stesura di colore a tempera, smalto o vernice, e poi portate a compimento attraverso il tratteggio di segni e profili con matita, pastello, grafite o gesso – la modalità operativa e gestuale ricalca quella del modellare e scolpire. Cambia molto invece l’atteggiamento dello spettatore che nei confronti di alcune sculture del compianto può provare una spinta sensuale a toccare, avvolgere, abbracciare con fisico godimento, quando al contrario in questi dipinti le campiture monocrome che si prendono quasi tutto lo spazio, insieme ai tratteggi esili e rassegnati, invitano a abbandonarsi, dimenticare il ramo a cui da sempre si è cercato di rimanere attaccati e lasciarsi cadere. “Giacinto Cerone. Il massimo dell’orizzontale. Opere su carta”, ancora fino al 14 settembre. http://www.museomacro.org/it/giacinto-cerone-il-massimo-dell%E2%80%99orizzontale-opere-su-carta
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