La casa romana di Giacomo Balla si trova in via Oslavia 39, tra i quartieri Prati e Vittoria, due urbanistici schiaffi assestati dall’Italia unita al vecchio potere vaticano. La sua trasformazione in museo resta ancora oggi incagliata in questioni ereditarie ma essa rimane una chiarissima testimonianza di come il pittore, con l’aiuto delle devote figlie Luce ed Elica, abbia applicato in maniera concreta e ossessiva l’idea futurista (qui, visto il novecento e l’oggi, il termine assume anche il senso di “profetica”), la fantasia estrema che l’arte dovesse uscire dai musei e dalle tele ed invadere la vita quotidiana, arredi, suppellettili, abiti, attrezzi di ogni tipo, dovesse contaminare ogni angolo del mondo attraverso moda e design; altrettanto ribadiscono le pitture murali recentemente rinvenute in via Milano, in quello che fu il Bal Tic Tac, locale cabaret futurista inaugurato nel 1921, consacrato al jazz e alla trasgressione.
Molti notano, e la mostra di Palazzo Merulana vorrebbe dimostrarlo (Giacomo Balla. Dal Futurismo astratto al Futurismo iconico; 60 opere, fino al 17 giugno), che la tendenza dello spirito creativo a distribuirsi nella contingenza dei più piccoli oggetti e delle più consuete azioni quotidiane è non lontana dalla tendenza, poi fatta propria dalla Pop Art, ad iconizzare le immagini prodotte dal cinema, dalla moda, dal jet set, così fuori portata, ma al tempo stesso, attraverso i media emergenti, così quotidianamente presenti nella vita di tutti, esattamente come una bel lampadario o una sedia.
Questa supposta ascendenza è giusta solo se la s’intende a corrente alternata, come due persone che percorrono la stessa strada ma in direzioni opposte. Balla cannibalizza le foto patinate di Carnera e delle dive del cinema scattate da Luxardo e Ghergo, e trasferendole sulla tela, riproduce, come farà Roy Lichtenstein, la grana, indizio di inconsistenza immateriale, di cui sono fatte. Porta in questo modo l’arte nelle arterie della vita moderna, esaltandone i fantasmi luminosi e allegri. La Pop Art sembra al contrario cercare di strappare questi fantasmi alla fucina di costruzione dell’immaginario per fini commerciali, in cui svolgono al meglio la loro funzione, per traslocarle nella storia dell’arte e della cultura, dove, diventate coscienza, quella loro funzione la perdono.
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