Ondata di indignazione a fine marzo per l’intervento dello street artist Hogre, comparso in pieno coprifuoco pandemico sul muretto di riempimento di una delle nicchie esterne della cisterna a due piani che in epoca imperiale incanalava l’acqua Marcia verso la contigua villa delle Vignacce (5 fasi costruttive dal I al IV secolo d.C.). Repubblica.it riporta la notizia il 25 marzo con il commento infuriato di Simone Quilici, direttore del Parco Archeologico dell’Appia Antica, livido una volta appurato, dopo attenta verifica dei guardiaparco, che si trattava di vernice e non di poster o pannello removibile; rabbia pienamente condivisa dagli utenti dei social che hanno percepito l’opera come un atto vandalico, ma anche da molti street artists, i quali non hanno perdonato ad Hogre: 1) di aver violato il tacito quanto sacro vincolo corporativo di non imbrattare mai i monumenti, 2) di essersi mosso in barba ai decreti sulla quarantena.
Tuttavia chi segue l’artista – sacerdote del subvertising, così detta pratica di vandalizzazione dei manifesti pubblicitari urbani come critica al consumo capitalistico, capace di interventi ben più che blasfemi, come il poster con un cristo pedofilo – non può non scorgere nel murale segni di autocensura, di una certa morbidezza almeno. Il tema innanzitutto del bacio pandemico (con mascherine, maschere antigas, ecc.), più che sperimentato, quasi abusato, abbondantemente digerito, figlio del più antico bacio in bocca tra avversari politici che scendono a patti per eliminarsi reciprocamente. Un’icona ormai depotenziata, quasi rassicurante. Il supporto poi, non il misto di opera reticolata e laterizi della cisterna ma l’orrido muretto intonacato, quello sì scandaloso, costruito meno di quarant’anni fa come sostegno ulteriore, assolutamente ingentilito, se non valorizzato dall’opera. Tant’è che ad oggi nessuno l’ha ancora rimossa, l’opera. Ci sono tutte le condizioni per concedere la buona condotta.
Lascia un commento