Alla nona edizione del Festival della Scienza, dal 23 al 26 gennaio 2013, tutto quanto si sa del linguaggio, proprio quello fatto di parole frasi e discorsi, è al centro di dibattiti, proiezioni di film e documentari, mostre, spettacoli e lectio magistralis con linguisti come David Pesetsky e Lawrence Solan, filosofi come Stefano Catucci e Nicla Vassallo, artisti come Armin Linke, scienziati che si sono interessati al linguaggio e alle sue implicazioni organiche, psicologiche, sociologiche e computazionali, come Stuart Shieber e Jesse Snedeker. E poi Noam Chomsky, colui che ha cambiato radicalmente il modo di affrontare lo studio delle lingue umane e che negli anni cinquanta sentì il bisogno di rinforzare l’approccio scientifico, inventare apposta quasi una matematica per analizzare la più caratterizzante tra le capacità dell’uomo, da allora in poi considerandola tale e quale un organo impiantato nel nostro corpo, alla stregua del diaframma per la respirazione, dello stomaco per la digestione, del cuore per la circolazione sanguigna. Qualcosa che abbiamo tutti in quanto appartenenti alla specie, qualcosa di innato e non di semplicemente derivato culturalmente dalla consuetudine e dalla necessità di vivere in società; semmai considerando quest’ultima il campo nel quale, partendo dalle restrizioni normative comuni, si esercitano le differenze geografiche, le capacità personali, le attitudini estetiche, insomma l’inifinita creatività dei popoli e degli individui.
Se ci si pensa, solo Noam Chomsky, con il suo bagaglio di sfide e di scoperte, così analiticamente intimo al segreto delle parole, poteva diventare il più grande critico della società americana del XX secolo, cui egli stesso intimamente appartaneva.
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