Sono poche le mostre dal titolo ufficiale in due lingue. Seppure il destino le abbia messo di traverso la pandemia, il privilegio è toccato a I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori, l’evento culturale più importante degli ultimi anni in Italia e forse nel mondo. A villa Caffarelli, restaurata per l’occasione come nuova sede dei Musei Capitolini, il 14 ottobre 2020 si chiude il cerchio, dopo la falsa partenza in aprile, di una storia appassionante e tormentata che riguarda l’arte e l’archeologia, ma che illustra bene anche una certa idea del potere e del capitalismo negli ultimi tre secoli.
I Torlonia, arrivati piccoli mercanti dalla Francia a Roma a metà Settecento e rapidamente arricchitisi, scalano la nobiltà tra la fine del secolo e l’inizio dell’Ottocento (in successione Marino, Giovanni e Alessandro). Dal periodo napoleonico sino all’unità d’Italia si rendono arbitri della politica statuale pontificia attraverso commesse pubbliche, spregiudicate attività finanziare, una banca e opportune aderenze politiche, senza nemmeno essere troppo devoti a Santa Romana Chiesa, ed anzi forse proprio per aver conservato una certa distanza da essa – la stessa fredda confidenza che si riserva ad un socio in affari – a differenza del resto della aristocrazia di antico lignaggio. Nel corso della travolgente ascesa utilizzano il sottosuolo degli immensi latifondi colmi di reperti, man mano acquisiti nel suburbio, quale fabbrica di armi per vincere la guerra del prestigio e della credibilità.
Dopo che la cultura europea, attraversata dalla brezza neoclassica, con Winckelmann aveva decretato l’importanza delle antichità e la nascita dell’archeologia come studio e recupero, i Torlonia commissionano frenetiche campagne di scavo a Roma Vecchia, lungo l’antica via Latina (soprattutto nel primo e nel terzo decennio dell’Ottocento), dove si erano insediati nel 1797, ma anche nella villa dei Quintili, nella villa di Massenzio, a Porto, ed in altre tenute agricole. Non contenti acquisiscono raccolte esistenti sin dal Cinquecento, come quelle di villa Albani, le collezioni Cavaceppi e Giustiniani, un modo come un altro di esigere crediti. Accumulano così una quantità immane di pezzi greci e romani pregiati, busti, crateri, sarcofagi, ritratti, teste, tazze, statue e rilievi, tra essi alcuni assoluti capolavori già menzionati nella storia dell’arte, molti con una lunga vicenda di restauri alle spalle. Si dice fino ad un numero di 620, ma non si sa quanto si sia perso in trasferimenti. Un esercito che, già così schierato, compete e vince contro quelli di qualsiasi altro museo statale al mondo, ancora oggi.
Al punto che Alessandro, uno dei rampolli più acuti e virtuosi del casato, decide nel 1875 di farne un museo in un palazzo di proprietà a via della Lungara, aperto a pochi, formalmente chiuso solo nel 1976. Tra gli anni ’60 e ’70, a seguito del maldestro abuso edilizio di un altro Alessandro, poi sanzionato, che trasforma il palazzo in un condominio di appartamenti residenziali, l’immenso patrimonio viene ammassato nei sotterranei e vi rimane nascosto per decenni. Finalmente, dopo estenuanti dispute familiari tra gli eredi e trattative altalenanti con il Ministero dei Beni Culturali, grazie alll’impegno assiduo di alcuni studiosi, 96 dei 620 marmi vengono spolverati, restaurati ed esposti.
The Torlonia Marbles. Collecting Masterpieces – I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori. Villa Caffarelli, fino al 29 giugno 2021. Studio di Salvatore Settis, a cura di Carlo Gasparri, allestimento di David Chipperfield Architects Milano, restauro finanziato da Bulgari.
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