Oggi ricorre l’anniversario della nascita di Pier Paolo Pasolini e, ricordando la sua tempra, con molta probalilità sarebbe ancora presente tra noi con i suoi 92 anni se qualcuno non avesse pensato, la notte tra Ognissanti e i Morti del 1975, di passare con l’automobile sopra il suo corpo già martoriato. Ci pare dunque dover porre attenzione al caso che mette di fronte due Rome, quella premiata con l’Oscar a Paolo Sorrentino e quella delle pellicole del poeta. Senza nulla togliere alle immense virtù cinematografiche del regista napoletano, non ci sembra si possa attribuire al suo film, come molti dicono, la capacità di rappresentare la città facendone l’emblema di un’epoca. Films come Accattone, Mamma Roma, La Ricotta, non solo sono lo specchio delle umane periferie, ma denunciano e reinterpretano artisticamente il tempo e la storia. Al contrario, il gruppetto di figure saltellanti, giornalisti, scrittori ed intellettuali che scorazzano per la Roma cartolina di Sorrentino, a differenze di quelli vitali de La Dolce Vita felliniana (paragone più volte chiamato in causa, e difatti anche le inquadrature sono un debito), oggi sono fossili del tutto inifluenti che fanno fatica a rappresentare sé stessi, figuriamoci una città, un paese ed un mondo molto più complessi, in cui le voci e le opportunità di narrazione si sono del tutto polverizzate.
Al contrario la Roma degli anni ’50 e ’60 colta da Pasolini si identificava con la povera realtà delle masse sfruttate dei baraccati per diventare un simbolo senza tempo del potere e della sopraffazione. Lo scrittore certo la dipingeva con lo sguardo vago del poeta, ma solo dopo averla indagata e abitata fin nella più intima fibra. Qualcosa di simile si scorge nel Sacro Gra di Rosi.
Il Centro Sperimentale di Cinematografia onora la ricorrenza con una rassegna a partire dalle 17, tutto su http://www.snc.it/events_detail.jsp?IDAREA=9&ID_EVENT=1043>EMPLATE=events.jsp con l’anteprima nazionale di Pasolini, la verità nascosta di Federico Bruno.
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