Elisabetta Catalano (1941-2015), durante la sua lunga carriera, ha fotografato le comunità del cinema, della televisione, della moda, della letteratura, della cultura e dell’arte contemporanea, con il timore costante che in questa sua attività, a sfibrarsi, addirittura a perdersi definitivamente fosse l’uomo. Proprio in quella repubblica creativa ed intellettuale i cui cittadini massimamente pensano e pre-costituiscono l’immagine di sé e del mondo, la fotografa ritrattista cerca di introdursi come un hacker, per indebolire ed infine piegare la cinta di difesa apparecchiata dal soggetto.
Nel corso di uno scambio di mail, il poeta Valerio Magrelli, a distanza di anni dalle ore di sedute estenuanti passate nello studio della Catalano per il solo unico scatto del suo ritratto, ricorda
Un buon scatto deve fare breccia nel soggetto e dunque richiede un lungo accerchiamento per fiaccare le sue capacità di difesa, per braccarlo, per spossarlo, dischiuderlo infine all’occhio del fotografo; una Porta Pia dello sguardo insomma, o ancora l’assedio alla creatura nella tana, aspettando che il polpo offra la testa al suo cacciatore fotografo, e infine, e allora, in tempi precedenti al digitale, la fiocina-diaframma che cattura la preda. Insomma, così compresi il motivo di quella estenuante cerimonia. Ricorrendo ad ultime metafore, adesso penso alle banderillas, impiegate per indebolire il toro, quel toro dell’io che nasconde la nostra vera personalità.
Anche Federico Fellini, il grande maestro dell’immagine e del ritratto, capitola, come dimostra Ri-tratto rosso – Elisabetta Catalano guarda Federico Fellini, 60 scatti in mostra a Cinecittà, che, ritraendo lui e i set, raccontano il pluridecennale rapporto creativo con la fotografa.
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