Il percorso di Josef Koudelka, inaugurato in modo rocambolesco nel ’68 dagli scatti alla Primavera di Praga e consacrato dalla successiva assunzione alla Magnum, coglie in questa mostra all’Ara pacis – trent’anni di fotografie ai resti archeologici prevalentemente greci e romani lungo le sponde del Mediterraneo – un aspetto ulteriore del rapporto dell’uomo con il passato. Il culto delle rovine è appartenuto a tutte le civiltà ma via via con motivazioni diverse. Per ricordare alcune tappe, si pensi alle rovine micenee motore del mito per i greci, al Rinascimento che attraverso lo studio e il rilievo delle rovine riscopre e si appropria della cultura degli antichi, al Settecento che nella grafica, nella pittura e nell’architettura ne fa un autonomo tratto estetico, quasi attribuendo valore esclusivo all’abbandono e all’assenza che traluce dai ruderi, premessa del Romanticismo.
Le fotografie dell’artista oggi ottantatreenne sono un documento personale e inconsueto di quanto i segni della civiltà abbiano unito l’occidente mediterraneo delle origini. Si rimane a fissare l’effetto panoramico e il bianco e nero che invece di includere, paradossalmente lasciano moltissimo fuori dall’inquadratura e dilatano il punto di vista parziale: in principio, venti/trenta anni fa, quasi una fuga dalla cartolina; nello stesso modo, oggi, potrebbe sembrare una fuga da Instagram la completa assenza di esseri umani.
Tra turismo e studio archeo-filologico, Koudelka propone un sguardo alieno e poetico che, ignaro di tutto, arriva sulla scena distopica di una civiltà scomparsa, non si sa quando, a seguito di una imprevista catastrofe, un meteorite, un terremoto, un’eruzione vulcanica. Fra la tentazione del selfie e la libidine della conoscenza egli sceglie di fermarsi un solo istante a collocare le rovine sullo sfondo, tra grigio nebbia e spenta luminescenza, una nuvola, una baia, un monte a mezza costa, un pezzo di cielo. La poesia suggerisce, ma in questo esiguo spazio intermedio ognuno può mettere un po’ di sé stesso. Josef Koudelka. Radici. Evidenza della storia, enigma della bellezza.
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