Incomincia con Edoardo Boncinelli – il decano dei biologi italiani – e sul rapporto tra fotografia e scienza la rassegna dedicata alle profonde relazioni che la tecnica, prima dell’arte, di impressionare le immagini su pellicola o memoria digitale intrattiene con gli altri strumenti di conoscenza – arte, cinema, letteratura, storia – che l’uomo da sempre utilizza. La fotografia che fissa un microorganismo, alieno alla nostre abitudini visive. Ma anche un’espressione del viso che non coglieremmo mai se in movimento, il dettaglio della scena che mai nessuno avrebbe notato, l’evento storico ripreso e ormai sgualcito che rivela tutto dei moventi. un potente strumento di indagine e conoscenza la fotografia, di fronte al quale è più netta la sensazione di realtà, di inequivocabile certezza. Ma proprio questo mezzo tradisce le fragili fondamenta della conoscenza umana. Viene in mente l’epocale blow up di Antonioni, in cui l’indagine sull’omicidio, basata sull’ingrandimento di un dettaglio fotografico, si risolve in un nulla surreale; o più banalmente la netta sensazione di non riconoscere sé stessi in una foto neanche troppo vecchia, lo stesso stupore che ci coglie quando passiamo all’improvviso davanti ad uno specchio o alla telecamera del supermercato. Con pazienza scopriamo che la verità delle particelle di colore su una carta o schermo è sempre diversa da quella che siamo soliti rimbalzare tra gli angoli del nostro corpo, come ben sanno tutti coloro che postano su Facebook e Istagram.
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