Al teatro Kopò da oggi fino a domenica L’uomo carbone, una vicenda di umanità marginale in un coraggioso teatro di periferia. Un meritorio progetto, segnalato dalla Presidenza della Repubblica, che il Teatro sociale di Pescara porta in giro per raccontare, attraverso le vicende di due immigrati abbruzzesi, la tragedia dei 136 minatori italiani rimasti sepolti per sempre nella miniera belga di Marcinelle un giorno del 1956. De Gasperi aveva offerto manodopera meridionale senza diritti e senza pretese al governo belga che, dopo la mattanza al fronte, era rimasto corto di minatori; in cambio otteneva il carbone per alimentare l’economia italiana postbellica. L’accordo uomo-carbone appunto, 200 kili di materiale nero al giorno per ogni lavoratore inviato, un patto evidentemente tutto a vantaggio dell’economia belga, frutto della precario prestigio dell’Italia dopo la sconfitta. Gli immigrati, moltissimi abruzzesi, comunque pieni di speranza, obbedendo alla fame e alla ragion di Stato, con casco, piccozza e lampada scendono in miniere prive delle minime norme di sicurezza, fino a quando, la mattina dell’8 agosto, un incidente agli impianti di risalita provoca un incendio che chiude loro ogni possibilità di fuga, soffocandoli quasi tutti in un sarcofago di fumo e di calore. Senza dubbio uno di quei momenti in cui la finzione ipocrita del potere appare autentica come la felicità degli uomini di offrirsi ad esso in sacrificio.
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