Per chiunque provenga in automobile dal casello autostradale di Roma sud il paesaggio è segnato. A destra, la spianata leggermente digradante dai Colli Albani, occupata per ettari dal campus universitario di Tor Vergata, presenta un’enorme singolarità, attrattiva allo sguardo per la grandezza soverchiante qualunque altro manufatto intorno per chilometri, per il colore bianco immutabile, per la forma e per la struttura a reticolo: la così detta “vela” ideata dal valenciano Santiago Calatrava Valls, uno dei pochi architetti che le amministrazioni cittadine di tutto il mondo chiamano quando hanno una gran quantità di milioni da spendere e vogliono realizzare un’opera che rimanga.
Ma con buona probabilità Calatrava stesso, abituato a dettare idee, linee e tempi a qualunque committente, mai avrebbe pensato nel 2005, quando fu chiamato da Veltroni a creare quella che inizialmente doveva essere solo la struttura sportiva dell’università di Tor Vergata, di rimanere stordito dalla rete italiana di mala politica, inefficienza e interessi palazzinari e di dover all’oggi, agosto 2016, non ancora potuto vedere compiuto il suo progetto. Con l’aggravante di vedere interpretata volgarmente la sua idea come una vela quando in realtà aveva pensato ad una conchiglia. Una storia decennale di sperpero di denaro pubblico mirabilmente e minuziosamente raccontata con parole e immagini da Paolo Costanzi nell’articolo Seimila tonnellate di acciaio su http://www.thetowner.com/it/vela-calatrava-roma/.
Eppure ciò che si è stampato sulla retina di tanti acquista dignità. Così, pur essendo un inutile mucchio di metallo che per ora non ha restituito nessuno dei milioni di euro già spesi, la vela di Tor Vergata è diventato elemento insostituibile del panorama.
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