All’incirca tra i 5 e 2 milioni e mezzo di anni fa il centro di Roma pliocenico, Palatino compreso – responsabile un moto distensivo che andava a sollevare la catena appenninica dalla parte adriatica e ribassava il versante tirrenico – è un fondale marino costiero di apprezzabile profondità sul quale si depositano senza sosta strati di argille marnose e argille sabbiose ad alta concentrazione di residui organici marini e poco altro; i geologi oggi chiamano lo stadio sedimentale risultante, dalla forti caratteristiche di impermeabilità, Unità di Monte Vaticano, in onore del luogo in cui questa formazione è meglio studiata.
I successivi movimenti tettonici che interessano l’arco appenninico in pieno Pleistocene medio inducono l’emersione di questi fondali, i quali diventando zona costiera depressa su cui sedimentano corsi d’acqua, paludi e fiumi. Sempre i geologi, nella zona del Palatino chiamano l’ulteriore strato Formazione di Santa Cecilia, datandolo a partire da circa 600000 anni fa. Costituita da argille e limi, sabbie e ghiaie, in questo caso di ambiente fluviale, fluvio-lacustre o lagunare, essa, forte anche della tenuta impermeabile della formazione precedente, diventa sede della falda che raccoglierà la gran parte delle acque meteoriche e di quelle provenienti dalle zone circostanti.
Contemporaneamente, sempre intorno alla stessa epoca, comincia l’attività dei Vulcani Albano e Sabatino che ricopre tutto con una spessa coltre di polveri piroclastiche. I ripiani così affastellati insieme ai riporti umani di epoca storica – nel continuo alternarsi di ere glaciali ed interglaciali con le relative variazioni del livello del mare – costituisce la base che sarà via via sezionata in forma di colli dall’attività erosiva e alluvionale del Tevere e dei sui affluenti, e dalla quale affioreranno, proprio a ragione del lavorio erosivo dell’acqua di superficie, falde acquifere in forma di sorgenti. Tra esse il Lacus Iuturnae, alla pendici del Palatino prominenti il Foro.
Il censore Lucio Emilio Paolo, vincitore di Perseo di Macedonia, con ieratica ironia, e con profondo senso di mistero, come solo un uomo pieno di sé, a metà del II secolo a.C. fa incamiciare la sorgente – creduta da sempre manifestazione metamorfica della ninfa Iuturna, sorella immortale del nemico indigeno di Enea, Turno – a fontana di forma rettangolare; quindi commissiona ad una bottega di greci residenti in città un gruppo di statue in stile ellenistico arcaicizzante, sobrie quanto lo spirito degli avi, raffiguranti i Dioscuri figli di Giove e i loro destrieri, e li colloca su un piedistallo al centro della fonte, proprio di fianco al tempio loro dedicato (Tempio dei Castori).
Qualcuno infatti circa due secoli e mezzo prima, in una sorta di terrore allucinatorio, aveva visto i due giovani per un istante ripulirsi e abbeverare i cavalli alla fonte, dopo aver condotto – tutti ne erano certi – l’esercito romano alla vittoria contro la una lega di Latini nella battaglia del Lago Regillo.
Nel 1900, nel corso di scavi riemergono dal fondo della fontana Dioscuri e cavalli a pezzi per trovare custodia insieme ad altri reperti posteriori nell’Antiquarium forense. Oggi fino al 20 settembre 2015 le statue restaurate sono esposte nel poco distante Tempio di Romolo. http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_199426550.html
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