Steve McCurry approda al Teatro 1 di Cinecittà e vi rimane fino al 20 settembre 2015 con una mostra che, oltre ad alcune delle foto che l’hanno reso celebre, comprende scatti recenti e quelli di qualche tempo fa dedicati agli interni degli stessi studi cinematografici. Il fotografo americano, da trent’anni uno dei più acclamati, vive di poche ed elementari convinzioni, giunte a lui sul lavoro come avventurose scoperte. Senza timori egli va a prendersi le immagini laddove già da sole potrebbero crearsi; sta di fatto che un volta sul set gli capita di pensare sia esclusivamente suo il compito di crearle, quindi le costruisce con la tecnica narrativa più antica che l’uomo abbia utilizzato, il mito; una lente che strappa il mondo al tempo e consente di guardarlo oltre la sporcizia, la paura, l’orrore, l’angoscia, tutto quanto ad esse si accompagna e faremmo in ogni modo per evitare ai nostri poveri occhi.
Per arrivare a estrarre il preziosissimo succo mitico dalla scena McCurry, con le sue linee scavate, con i chiaroscuri a forte contrasto, con i suoi colori caldi, a volte irreali, con i suoi definiti livelli di rappresentazione, lascia in primo piano un eccesso di decorazione, sempre artificiosa anche quando si presenta naturale: in questo senso la giovane afghana dagli occhi cerulei, addobbata con i veli colorati e il cadavere del soldato iracheno mutilato e carbonizzato tendono entrambi allo stesso risultato. Così, come sfiorata da un codice nascosto, un filo rosso sotterraneo e sovratemporale, l’immagine si tinge di nobiltà, proprio una patina di aristocrazia che trasforma tutto, anche l’infimo, in un simbolo di superiorità. http://www.mostrastevemccurry.it/#home
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