Il quartiere popoloso di una grande città la crisi economica la racconta. Ai piedi di enormi condomini chiudono negozi e locali la cui presenza era una certezza nel panorama visivo. Saracinesche abbassate e cartelli affittasi e vendesi ormai sbiaditi. Poi per un periodo di mesi o qualche anno, compro oro, gioco d’azzardo e sigarette elettroniche, oppure gioco d’azzardo, sigarette elettroniche, compro oro. Fino alla saturazione. Di nuovo cartelli affittasi e vendesi che hanno tutto il tempo di rendersi illeggibile. All’improvviso, imprevisto, lungo i marciapiedi depressi e smobilitati, tra gli avvolgibili graffitati, un teatro. Cinquanta posti, un azzardo, ma con una stagione, un cartellone. Un miracolo, mai visto, soprattutto in periferia. Come se il vuoto lasciato dal fallo, l’intoppo di un economia da corsa, in cui la produzione e il commercio, non gli uomini, sono il fine ultimo, concedesse finalmente uno pochino di spazio, quello appena necessario, affinché spunti la piantina fragile della coscienza, della riflessione umana, della cultura. Quando qualsiasi attività non è più abbastanza redittizia per competere, quando la catena del produrre e consumare s’inceppa, bisogna cambiare, uscire dall’ingranaggio e incominciare un’altra storia.
Questo è Kopò, una scommessa di giovani, un teatro che come primo spettacolo ha offerto se stesso e il suo coraggio. Il cartellone su http://www.teatrokopo.it/portfolio/. Corsi e laboratori su http://www.teatrokopo.it/i-corsi.html. Via Vestricio Spurinna 47/49.
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