La marchesa Xin Zhui non conosceva il momento del trapasso, ma era certa sarebbe giunto improvviso e sarebbe stato l’istante più importante della sua vita. Era la consorte del valoroso Li Gang, partigiano dell’imperatore Liu Bang, che per tramite del suo luogotenente Wu Rui in premio aveva ricevuto vasti territori a presidio dei confini meridionali dell’impero. Ancora nel fiore degli anni, quando giunse nella cittadella imperiale di Chang’an non le fu consentito di alzare lo sguardo verso l’imperatrice vedova Lü, né poté ascoltare la sua voce divina. Dentro al regale labirinto s’accorse però che le mura, le torri, le stalle e i pinnacoli nel silenzio parlavano una lingua strana e terribile. Essi le confidarono che l’imperatrice aveva un figlio, l’erede designato Liu Ying, un petalo tenero, fragilissimo e debole; inadatto, anche nel cuore profondo della sua stessa genitrice, al compito immenso cui attendeva. Le dissero ancora che nel gineceo del defunto imperatore Liu Bang per molto tempo aveva dimorato la sua favorita Qi, madre di Ruyi, questi sì, giovane forte, già re di Zhao, capace di insidiare il diritto di Ying a conservare il trono imperiale. Il vento del nord, spalancando le finestre della sua stanza, le raccontò dunque che l’imperatrice, furiosa, fece imprigionare la dama Qi, le tagliò mani e piedi, le cavò gli occhi, le bruciò le orecchie, la costrinse a bere un veleno per renderla muta e la fece dimorare in una stalla chiamandola “scrofa degli uomini”.
Giurarono che qualche giorno dopo… convocò l’Imperatore Xiao Hui (Liu Ying) per mostrargli la scrofa degli uomini. Quando Xiao Hui la vide, dovette chiedere l’identità prima di riconoscere la dama Qi. Poi [l’imperatore] pianse così tanto che si ammalò e per più di un anno non fu in grado di alzarsi (Shiji, annali dello storico Sima Qian, traduzione sul sito http://www.academia.edu). La marchesa Xin Zhui intuì allora il passo cieco del potere, i tragitti casuali del tempo, la vita piena di oscurità.
Ritornata a Changsha sognò la sua tomba, un’enorme ferita nel terreno: profonda, eterna ed inespugnabile; fece l’inventario, scrivendole su 312 listarelle di bambù, di tutte le sue ricchezze: lacche, sete, damaschi, statuine votive, assolutamente inutili in vita ma necessari nell’oltretomba. Decretò quindi che fossero sepolte con lei quando il respiro l’avesse abbandonata.
Le leggendarie tombe di Mawangdui. Arte e vita nella Cina del II secolo A.C. è una piccola mostra da vedere; assenza notevole, la conservatissima mummia della marchesa Xin Zhui. http://museopalazzovenezia.beniculturali.it/index.php?it/22/archivio-eventi/73/le-leggendarie-tombe-di-mawangdui-arte-e-vita-nella-cina-del-ii-secolo-ac
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