Antinoo. Un ritratto in due parti, Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps, fino al 15 gennaio 2017. Adriano capisce che il potere autentico non è il residuo di un intrigo di corte, non si nutre della carne dei giovani legionari al confine, non discende dai rivoli di sangue sulle croci. Affinché egli abbia diritto su di uno solamente tra essi sa di dover arrivare in tutti angoli più lontani e impervi dell’Impero, così come nei recessi più nascosti del desiderio; di dover emergere alla superficie della coscienza, anzi egli stesso diventare l’unica coscienza di quell’insieme di incroci e piste battute, sul mare e sulla terraferma, che in fondo l’Impero sembra. Quelle piste percorre allora per tutta la vita, in un viaggio ininterrotto e appagante.
In Bitinia incontra Antinoo, un semplice ragazzo bellissimo, e se ne innamora; preso tra queste imprecise correnti di linfa, viene a sapere che il suo desiderio, il desiderio dell’imperatore, non si è mai concepito disgiunto dal suo Impero: Questo desiderio “è” l’Impero. Prende con sé Antinoo, forse appena adolescente, e ne fa il suo compagno, fino a quando, un giorno, il giovane misteriosamente annega nelle acque del Nilo, diventando flebile fiamma divina, incommensurabile ideale di bellezza, simbolo universale del desiderio, e pertanto molteplice soggetto di statue, rilievi e monete.
A Palazzo Altemps va in scena l’acume di W. Raymond Johnson, egittologo all’Università di Chicago. Egli nel 2005, con ottimo spirito di osservazione, archivia nella sua memoria di studioso il busto di Antinoo dal ‘600 appartenuto alla collezione Boncompagni Ludovisi, conservato nel museo romano, mancante di gran parte della testa per un taglio che corre dalla sinistra della capigliatura fino al mento e risultante già da metà settecento restaurato con una nuova testa scolpita. Quindi – nella sua mente, prima che intervengano scannerizzazione 3D e confronto tra i marmi – lo ricompone con la parte di testa in possesso dell’Art Institute di Chicago, regolarmente acquistata alla fine dell’800. Forse in tanto acume l’illusione di lenire la perdita, di Adriano e nostra, un poco.
Lascia un commento