Al centro di Roma c’è Spazio Europa, un luogo messo a disposizione del pubblico dal Parlamento europeo e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea, per comunicare sopratutto ai giovani, tematiche, dibattiti e idee concernenti l’Unione Europea. Fino al 27 giugno vi si terrà una mostra interessante sul ventennale delle partecipazioni italiane alle missione spaziali. La organizza l’Associazione culturale Ifimedia ed è patrocinata oltre che dall’ Agenzia Spaziale Italiana, dall’Esa, dal Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Roma Capitale e l’Aeronautica Militare. La mostra ripercorre le avventure degli astronauti italiani a cominciare da quel Franco Malerba che nel ’92 fu aggregato all’equipaggio dell Shuttle Atlantis per testare il reale utilizzo di un singolare satellite artificialiale detto Tethered.
Costruito dall’Agenzia Spaziale Italiana su vecchi studi della Nasa, l’aggeggio teoricamente sarebbe dovute essere costituito un satellite collegato ad un altro detto ausiliario, tramite un cavo estensibile fino a 100 km ( avete capito bene, kilometri), fatto tra l’altro di rame e di kevlar. Il kevlar è un brevetto degli anni settanta molte volte più resistente dell’acciaio alle trazioni, resistente al calore a alle fiamme, usato già nei giubboti antiproiettili, componenti d’aereo, ed ora vele di barche da competizione. I calcoli degli scenziati italiani Giuseppe Colombo e Mario Grosso prevedevano che un conduttore lineare in movimento orbitale rapido nel campo magnetico terrestre potesse generare, con la complicità delle cariche elettriche presenti nella ionosfera una corrente nel cavo utilizzabile dai veicoli spaziali.
Nell’agosto 1992, Malerba in orbita sullo shuttle vede lo srotolo della matassa interropersi a soli 256 metri dalla navetta dei circa 20 km previsti, forse per inceppamento. Qualche misura viene fatta ed un piccola corrente indotta viene rilevata. Questo induce gli americani a ripetere. Ed ecco quattro anni dopo sul Columbia un altri italiani, Maurizio Cheli e Roberto Guidoni a sovraintendere al medesimo esperimento.
Questa volta il filo si svolge quasi tutto, ma al diciottesimo kilometro, per ragioni non del tutto accertate si tronca di netto mollando il satellite nello spazio infinito. Le misurazioni comunque accertano un progressivo forte passaggio di corrente fino a 3500 volt nel cavo prima che si spezzi anche se non è certa però l’origine dell’intera intensità. Fatto sta che all’oggi un solo dispositivo di questo genere gira intorno alla terra, comprende due satelliti e un cavo di 4 km e l’hanno lanciato gli americani nel ’96. Un filo e due sostanziali fallimenti all’origine dell’impegno italiano nello spazio. oggi una mostra celebrativa che non ci risparmia tute spaziali di addestramento e camice hawaiane indossate dai nostri astronauti durante le missioni. http://www.forumastronautico.it/orbitaitalia/
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