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La mostra presso le Scuderie del Quirinale (Ovidio. Amori, miti e altre storie – fino al 20 gennaio 2019) è il risultato di un estenuante lavoro di prestiti e collaborazioni finalizzate a raccogliere il più possibile di quanto in qualche modo riferibile all’universo immaginifico di Ovidio – 250 tra manoscritti, dipinti, sculture, dalla Roma imperiale ai codici medievali, alla modernità: giusto per citare, ci sono affreschi di Pompei, la Venere Callipigia, opere di Botticelli, Benvenuto Cellini, Domenichino, Tintoretto, Poussin, Ribera, Batoni, fino all’installazione del contemporaneo Kosuth – e dunque, così riuscire ad illustrare quanto l’arte, la cultura e l’immaginario occidentale siano intrisi dei distici e degli esametri del poeta latino.
Probabilmente non c’era modo migliore per celebrare il bimillenario della sua morte, che tentare di riprodurre a specchio ciò che forse è stata la fatica più fruttuosa di Ovidio: radunare, stratificare e rianimare tutto il bagaglio di immagini che la cultura classica aveva prodotto fino a lui per poi consegnarlo rigenerato, se non rifondato e in certi casi stravolto, alla pluralità dei posteri, i quali a loro volta l’avrebbero trattato, distorto e ancora rigenerato, ciascuno a proprio piacimento. Al di là della materia del suo canto, Ovidio è forse il primo che, con leggerezza e semplicità, ma al tempo stesso con senso di realtà e precisione scientifica, insegna a perdere i punti di riferimento, a moltiplicare i piani di lettura sull’uomo e sul mondo.
Affrancando il desiderio dalle istituzioni politiche e sociali e il racconto mitico dalla religione, egli scopre che non sono gli dei a muovere l’universo, ma i demoni nascosti dentro l’uomo, e così facendo fa di sé stesso l’occhio mobile su una moltitudine di istanze conoscitive, filosofiche, morali, psicologiche. Tanto potente è la sua forza nel penetrare le apparenze e temibile al punto da indurre Augusto ad esiliarlo solo per essere stato testimone di un misfatto contrario al suo programma di moralizzazione, avvenuto all’interno della famiglia imperiale (l’error, di cui non è mai chiarita la natura), evidentemente identificando lo sguardo del poeta con la sua forza scrittoria (il carmen, forse l’Ars Amatoria, ritenuto immorale). Vedere (nel senso di scrutare oltre la superficie) nel caso di Ovidio è già cambiare la realtà, commettere reato.
In questo senso la mostra delle Scuderie è Ovidio e Ovidio è la mostra. Quanto nella mostra si trova, la incessante continua rilettura secolare delle immagini sognate da poeta, c’è perché Ovidio stesso ha insegnato, in dinamica, continua e incessante metamorfosi, a rileggere le immagini.
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