La lezione di Raffaello. Le antichità romane è la mostra in programma fino al 29 novembre 2020 presso il Complesso di Capo di Bove nel Parco Archeologico dell’Appia Antica. La lettera di Raffaello e Baldassare Castiglione a papa Leone X (1519) come traguardo dell’umanesimo e innesco per la scoperta del lascito architettonico, monumentale e artistico degli antichi quale patrimonio da studiare e difendere anziché cava di materiale da costruzione, nonché la sua fortuna presso le élites artistiche e culturali, soprattutto durante i secoli XVIII e XIX, illustrata attraverso 29 tra dipinti, disegni, incisioni e pubblicazioni.
Tra essi l’incisione Raffaello nel Foro mentre illustra a Leone X le antichità disegnata da G. Riepenhausen, olii su tela di Francesco Hayez, il foglio acquarellato Vergine dei candelabri di Ingres, il manoscritto sul quale Pirro Ligorio, architetto, disegnatore della cerchia Raffaello, in ossequio alla lezione del Maestro, a metà ‘500 riprodusse i rilievi di tutti i monumenti dell’Appia Antica.
Nella lettera Raffaello depreca, forse prima personalità di rilievo al mondo, la distruzione degli antichi monumenti, la attribuisce certo agli insulti del tempo e alla ferocia dei barbari, ma soprattutto all’incuria e alla fame di marmi da costruzione dei papi e della nobiltà romana. Auspica e perora presso il colto papa la causa dello studio e della difesa delle antiche vestigia. Ma il cuore ideale della lettera è forse nei primi due periodi.
Sono molti, Padre Santissimo, i quali misurando col loro picciolo giudicio le cose grandissime che delli Romani circa l’arme, e della Città di Roma circa al mirabile artificio, ai ricchi ornamenti e alla grandezza degli edifici si scrivono, quelle più presto stimano favolose che vere. Ma altrimenti a me suole avvenire, perché considerando delle reliquie che ancor si veggono delle ruine di Roma la divinità di quegli animi antichi, non istimo fuor di ragione il credere che molte cose a noi paiano impossibili che ad essi erano facilissime. Però, essendo io stato assai studioso di queste antiquità e avendo posto non picciola cura in cercarle minutamente e misurarle con diligenza, e, leggendo i buoni autori, confrontare l’opere con le scritture, penso di aver conseguito qualche notizia dell’architettura antica.
Qui la virata rinascimentale, quello alcuni chiamerebbero mutamento di paradigma. La rinuncia a riesaminare il passato, come a rimettere in gioco la conoscenza, la tenace determinazione a non considerare, a non vedere, relegando ciò che si ha davanti agli occhi in un mondo favoloso senza credibilità, oppure lasciandolo deperire e saccheggiandolo; In questo incipit tutto si muta in disposizione a guardare senza la paura di non capire o di essere travolti dalla sconvenienza ideale, politica o religiosa della magnificenza; tutto s’accorda con l’umile servizio di esaminare con pazienza, interpretare con rigore, ricostruire con fatica, insomma con l’aprire realmente gli occhi sul mondo. Non a caso la lettere si chiude, in una sorta di fervore pratico, con una lunga minuziosa prolusione intorno alle tecniche di rilievo architettonico da utilizzare sul campo per rendere di nuovo visibili su carta gli edifici antichi ridotti a ruderi.
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