Politica incapace, corruzione, sciatterìa amministrativa, disattenzione istituzionale, disorganizzazione, polverizzazione di competenze, capacità di far rispettare le regole tendente a zero, ignoranza e adagio “teniamo famiglia”. Diamole per assodate insieme ad una buona dose di fatalismo. Roma del documentario di Servizio Pubblico trasmesso il 4 luglio 2013, è incapace non solo di salvare dalla definitiva scomparsa il proprio (del mondo, in quanto nella lista dell’Unesco) patrimonio artistico e di metterlo a frutto per la ricchezza propria e dell’Italia, ma costituisce un esempio in negativo per la stessa tenuta democratica di un paese nel quale anche i più piccoli, minimi interessi – mettiamo quelli dei chioschi ambulanti o delle edicole -, possono enuclearsi in pillole di mafia e agire in deroga alla capacità dello Stato e delle amministrazioni di far rispettare le norme. E poi i soldi da investire per scavare, riportare alla luce, restaurare, rendere accessibile e far pagare il biglietto; i maledetti soldi che non ci sono mai, la spending revue, prima il patto di stabilità, e prima ancora non si sa che diavolo.
Il Mausoleo di Augusto annerito, più che altro un problema per il traffico, rimane chiuso e non è nemmeno buono per far dormire i barboni. La criminale invasione dei Fori e dell’area Colosseo da parte di chioschi di souvenirs, edicole onnivenditrici, improbabili artisti di strada, finti gladiatori, e bagarini saltafile; un’immancabile patina truffaldina che sarebbe un delitto far mancare ai turisti, i quali, non dubitiamo, se la terranno stretta tra i ricordi insieme alla netta sensazione di inefficienza. E la Domus Aurea chiusa, i meravigliosi mosaici nascosti sotto le Terme di Traiano dissotterati solo a metà, che forse nemmeno i nostri nipoti potranno vedere.
Nessuno potrà sostenere che si fanno le stesse esperienze visitando il Louvre, la Torre Eiffel e il Beaubourg a Parigi La National Gallery o il British a Londra, il Metropolitan a New York, ma anche gli stessi Musei Vaticani. Là ogni cosa è al suo posto, ben contestualizzata, illuminata, spiegata e dà sensazionale spettacolo di sé.
Proviamo a guardare da più lontano, cambiando prospettiva, senza negare quella espressa dalla trasmissione.
– Il primo guaio: Roma, in particolar modo il centro, non è un museo, nonostante a molti piacerebbe lo diventasse. Si ostinano ad abitarci persone e impiegati nelle istituzioni plurime, disseminate, invadenti. Questi esseri umani sono continuamente in movimento, costituiscono una massa che si incontra e si scontra con il fiume impazzito di turisti, i quali si spostano tra altrettanto disseminate aree archeologiche, musei, piazze, teatri alberghi e ristoranti. Aspettiamo l’infrastruttura che possa sgusciare in mezzo alle stratificazione di una città che non ha mai smesso di vivere alla grande, tranne che per un tratto di Medioevo. Capiamoci, qui non si tratta di valorizzare un area, un museo, ma di collegarli tutti facendo la corsa ad ostacoli.
– Il secondo guaio di Roma è l’Italia. Mentre la Francia è un espressione di Parigi, il Regno Unito di Londra, New York è il centro di un impero economico militare, Roma, a dispetto del suo passato imperiale e della sua eternità, come Capitale e un espressione forzosamente imposta dallo Stato Italiano – già di per sé un vespaio di interessi in collisione – peraltro contro la Chiesa Cattolica, con la quale ancora oggi è costretto a condividere influenze e decisioni. Praticamente questa città come Capitale è un idea più che un fatto. Di fatto la filiera decisionale si corrompe degli apporti più disparati; Sovraintendenze comunali, Sovraintendenze statali, Istituzioni sovrane sul pezzettino di città occupato, parrocchie e confraternite, le quali insieme finiscono per ostacolarsi e paralizzarsi a vicenda.
D’altro canto il fiume di denaro da investire in cultura e metropolitane deve venire giocoforza dallo Stato centrale, e quindi deve superare da sempre, e in particolar modo negli ultimi 20 anni di Lega, le forze centrifughe e i mal di pancia delle forze produttive e delle élites del Nord. E’ un fatto che le risorse Roma le debba condividere con altre super potenze della cultura come Firenze e Venezia, le quali giustamente attingono alla stessa borsa. Il denaro arriva certo e viene speso male. Ma sempre come compromesso, e mai con la stessa aperta liberalità e convinzione con cui Parigi, ad esempio, lo riceve dallo Stato francese. Insomma nessuno francese definirebbe Parigi “ladrona” rendendo maleodorante il flusso di denaro pubblico che la rende splendida ed efficiente. Non che cambi qualcosa questo o quel colore di amministrazione; il fatto è che, con queste premesse, nessun sindaco si prende la responsabilità di stanziare fondi per portare alla luce tutti i tesori ovvero lasciare senza lavoro gladiatori degradanti e ambulanti selvaggi. Un sindaco debole, come un governo debole non possono imporre una visione profittevole per tutti da realizzare nel tempo, mettendosi contro gli interessi immediatamente raggiungibili.
Pure le diatribe sulle classifiche mondiali (vedi quella per il 2012 del Giornale dell’Arte) di visitatori ai musei non tengono conto di questi fattori storici; e allora giù lacrime sui quasi 10 milioni del Louvre, i più di sei milioni per il Metropolitan di New York, su National Gallery e British tra i 5 e i 7 milioni, sul Tate che vede il traguardo dei 5 milioni, ma anche sui 5 milioni dei Musei Vaticani, comunque in calo. Impallidisce il milione e mezzo di tutti i musei civici di Roma messi insieme, e i 3 milioni e 600000 (che diventano 9 e mezzo se si aggiungono le aree archeologiche), che si ottengono mettendo insieme i primi 5 musei della Capitale rispetto ai 25 di Londra, i 23 di Parigi, e i 15 di New York. Ma che volete da una città in cui puoi trovare in ogni chiesa un Caravaggio diverso che farebbe la fortuna di qualsiasi museo al mondo, dove non basterebbe un anno per scovare tutto quanto merita una visita, e che comunque subisce la concorrenza qualificata degli Uffizi a Firenze, delle Gallerie dell’Accademia a Venezia, e di Pompei e delle città toscane, del turismo religioso e culturale umbro, eccetera all’infinito.
Infine non dimentichiamolo, Roma è il posto occupato, abitato dal potere che però come città non esercita. Significativo a questo proposito i dati sull’affluenza alle istituzioni di arte moderna e contemporanea. I numeri del Maxxi e Macro messi insieme (500000 accessi in tutto) sono ridicoli rispetto ai 5.304.710 racimolati dal Tate, i 3.800.000 dal Centre Pompidou, i 2.805.659 dal Moma e persino per il 2012 il quasi milione e 300000 dal National Museum of Contemporary Art di Seul. L’arte moderna e soprattutto quella contemporanea non hanno l’autorità derivante dalla sedimentazione storica e quindi possono essere adeguatamente promosse e finanziate, se non imposte solo da una ferrea volontà politica: la contemporaneità in arte è espressione di un élite dietro la quale c’è un economia forte, e un benevolo esercizio di autorità imperiale. Rimangono negli occhi le immagini del documentario in cui nel 2010 migliaia di visitatori del Moma, dopo file estenuanti, si sedevano in silenzio per qualche minuto davanti a Marina Abramovic in silenzio, per contribuire alla sua performance. La stessa artista sarcasticamente presa ad emblema da Sorrentino nella Grande Bellezza di arte intellettualistica ed inconcludente. Gli imperi nel mondo esistono; quello di Roma è esistito in quanto Impero Romano e Papato, ma è svanito in quanto Capitale d’Italia.
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