C’era una volta Sergio Leone, Museo dell’Ara Pacis, fino al 3 maggio 2020. Una raccolta di cimeli per celebrare il 90 anni dalla nascita e i 30 dalla morte di Sergio Leone, tra i più grandi registi del novecento, sicuramente il regista italiano che più ha influenzato il cinema internazionale.
Fotografie familiari e sul set, molti oggetti di scena, le sceneggiature originali, i costumi (tra gli altri, il luttuoso vestito di Claudia Cardinale in C’era una volta il west e il poncho di Eastwood in Per un pugno di dollari), lo studio di Leone ricostruito, la sua biblioteca da cui era solito documentarsi riguardo un mondo lontano, il pianoforte su quale Morricone gli faceva saggiare le melodie, le tecniche e gli oggetti con cui faceva riprodurre suoni e rumori nel minimo dettaglio, fino ai pittori che gli ispirarono inquadrature memorabili (Piazza d’italia di De Chirico, le ballerine di Degas).
Come alcuni, Italo Moscati ad esempio, hanno detto, al di là della tecnica registica rivoluzionaria e il realismo inedito nella favola western, è il melodramma, l’opera lirica italiana il nucleo nel cinema del regista romano. Più Verdi e Puccini che John Ford e Howard Hawks, o Rossellini e De Sica. I nodi del tessuto emotivo nel racconto dilatati ed amplificati all’inverosimile dalla musica unita a inquadrature e gesti studiati laddove, nella lirica, c’è il canto; un set di polvere al posto del palcoscenico. La poesia del silenzio e dell’orizzonte aperto, potremmo aggiungere.
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