Non possiamo esimerci. Dal 6 marzo fino a giugno la serie di grandi mostre alle Scuderie del Quirinale continua con Tiziano, Tiziano Vecellio, e insistiamo sul nome, l’unica facoltà che ci è consentita riguardo un pittore su cui già i contemporanei, intellettuali e potenti, avevano detto tutto. Dopo secoli di mostre critica e lodi, nemmeno accenniamo alla possibilità di non andare a vedere le sue opere se ci si trova a Roma. La nostra non è una segnalazione ma una presa d’atto, come di fronte al meteo, alle rimonte elettorali di Berlusconi e alla morte. Potremmo dire che i musei di tutto il mondo hanno concesso i pezzi pregiati in loro possesso, uno fra tutti il Ritratto di Carlo V col Cane del Prado. Potremmo iniziare il peana sul primato del colore e del gioco tonale del maestro veneto sul disegno e monumentalità del Rinascimento di Michelangelo e Raffaello. Potremmo parlare del realismo e del turbinoso movimento che ne consegue nei dipinti a tema religioso, in quelli a soggetto pagano, e persino nei ritratti. Ma anche della sua contiguità al potere intellettuale (Aretino e Sansovino) e delle comittenze politiche (persino Carlo V saccheggiatore di Roma). Potremmo e non aggiungeremmo nulla alla verità secolare sul grande maestro delle sfumature, discepolo di Giorgione e punto cardinale della storia dell’arte.
Senza argomentare allora diciamo che quella Allegoria del Tempo governata dalla Prudenza dalla National Gallery è un dei quadri più brutti del Rinascimento e oltre; che la Maddalena dalla Galleria Palatina è sfacciatamente ipocrita come tutti i suoi dipinti religiosi in cui il soggetto rivolge lo sguardo a mezz’aria o è richiesto agli spettatori di farlo; e che i ritratti come quelli di Carlo V, Ranuccio Farnese, Giulio Romano e Benedetto Varchi aprono squarci autentici sulla vita nel Rinascimento, e spiragli su quella di sempre.
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