Turner Opere della Tate, fino al 26 agosto 2018, Chiostro del Bramante. Così John Ruskin (1819-1900) in “Le Pietre di Venezia” (Bur, 1987, trad. Paolo Bà):
Lo scopo dell’arte è riprodurre l’apparenza delle cose e di approfondire l’impressione naturale che esse producono nelle creature viventi. Lo scopo della scienza è quello di sostituire i fatti alle apparenze e le dimostrazioni alle impressioni…La scienza studia le relazioni delle cose tra loro, mentre l’arte studia solamente le loro relazioni con l’uomo, ossia cosa sono all’occhio e al cuore degli uomini, che cosa possono dire o diventare per gli uomini…Il lavoro di tutta la Società Geologica, negli ultimi cinquant’anni, non è arrivato che all’accertamento di quelle verità, rispetto alla forma delle montagne, che Turner espresse con la matita, cinquant’anni fa, quando era ancora un ragazzo…I contorni della natura possono essere disegnati più fedelmente, tutto ciò che può essere sistematizzato, catalogato ed insegnato… tutto ciò che può essere misurato, toccato, esaminato, dimostrato – in una parola tutto ciò che appartiene al corpo verrà riprodotto con grande esattezza. Ma tutto ciò che è imponderabile, intangibile ed invisibile si perde e non si vede più; vale a dire si perde tutto ciò che è degno che l’arte ricordi; il resto possiamo vederlo in natura quando vogliamo”
Turner viaggiò in Italia nel 1820 e nel 1828; fu a Milano, Torino, Venezia, Roma, Napoli e Paestum; si attardò tra ruderi e rovine meno di quanto si fosse abbandonato all’atmosfera illuminata del paesaggio, avvolgente ma aperta. Di pomeriggio – possiamo immaginare – una luce mai vista veicolava calore, profumo e sottili rumori, come unicum visivo e sensoriale; addestrato a questa scuola egli rileggerà in seguito anche le ombre tragicamente sublimi dei paesaggi nordici. Difatti per “sentire” tutto questo e di esso rendere disponibile appunto “l’imponderabile, intangibile ed invisibile”, immerge nella tela, sotto forma di impasti di luce fatti di colore o – se si vuole – di colore fatto di luce, tutto quanto gli si para davanti, suggerendolo appena, se non proprio dimenticandolo (Land’s End Cornwall, 1834, Tate, ne è un dimostrazione). Forse Turner fu il primo ad accorgersi che il mondo intorno, gravoso ed opaco – così come ad esempio insuperabilmente ritratto ne “Il Mestiere delle Armi”(salutiamo Ermanno Olmi) – è una trappola soltanto illusoria.
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