All’Ala Brasini del Vittoriano il confronto tra i due poli dell’arte americana e mondiale del novecento. Andy Warhol (sino al 3 febbraio 2019, 170 opere e testimonianze ambientali legate alla biografia dell’inventore della Pop Art) e Pollock e la Scuola di New York (fino al 24 febbraio 2019 – 50 tra le opere del rivoluzionario pittore e quelle degli artisti che, benché diversissimi tra loro, sono generalmente riuniti sotto l’etichetta del così detto “espressionismo astratto”: Mark Rothko, Willem de Kooning, Franz Kline).
Si può dire che Wharol, in fondo un grafico pubblicitario, come artista nasca dallo sforzo immane di emanciparsi, riguardo a tecnica e visione, da quanto negli Stati Uniti durante gli anni cinquanta sino alle soglie del decennio successivo era stato consacrato dall’istituzione e dal mercato come la vera arte, cioè proprio il prodotto generato dal tormento intimo e rivoluzionario di Pollock e compagni. In qualche modo questo confronto non è che un’altra versione della tensione dialettica tra visibile e invisibile, superficie e abisso, immaginario da un lato e indicibile, ineffabile, irrappresentabile dall’altro.
Pollock ha sempre negato la casualità nel disporsi di vernici colorate, sabbia e vetri tritati sulla tela, un fatto provato dalle regolarità frattali scoperta nei suoi dipinti dal fisico Richard Taylor. Non solo banalmente perché esso risponde alle stesse leggi probabilistiche dei sistemi biologici, governate da gravità, viscosità, tensione superficiale ecc., ma anche perché l’artista in ogni caso sente di averlo guidato con una specie di atto volontario in differita: dopo aver finito di danzare e rovesciare di tutto sulla tela come un invasato, solo a quel punto riconosce il risultato come suo, scorgendovi quanto effettivamente prima, in trance, era andato a raccogliere nelle profondità del suo cuore. Ciononostante lui stesso di fronte al quadro finito, come ipotizza lo psicanalista Massimo Recalcati, non crede da sobrio che quella sia veramente arte; a tal punto è roso dal dubbio da preferire di annegare nell’alcol, fino alla morte prematura in un incidente stradale. Warhol sembra partire proprio capitalizzando l’estremo sacrificio di Pollock. Inutile perdere tempo a chiedersi cosa è arte e cosa non lo è: la domanda l’ha fatta qualcun altro e nessuna risposta chiara è arrivata, anzi. Tanto vale stabilire nei fatti che tutto può essere arte, a cominciare dalle immagini da cui siamo sommersi, quelle della pubblicità e del consumo.
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